Barzanò, 7 Gennaio 2020
Gentile Senatrice Liliana Segre,
ho letto il suo romanzo “Fino a quando la mia stella brillerà“, che mi ha fatto riflettere e mi ha emozionata per la sua drammatica testimonianza.
Ho dodici anni, più o meno la stessa età che aveva Lei quando ha dovuto affrontare l’emarginazione, la fuga, l’arresto e la deportazione al campo di Auschwitz-Birkenau. Che coraggio e che forza ha avuto nel vivere quell’esperienza così tragica! Io non ci sarei mai riuscita.
Mi ha impressionato come è stata stravolta la Sua vita. Prima era una bambina allegra, vivace, un po’ viziata e coccolata da tutti, anche perché forse non volevano farle sentire la mancanza della Sua mamma. Dopo ha dovuto convivere con la paura, la disperazione, la sofferenza e la fame. Nel suo libro racconta che si è salvata anche grazie al destino, come quando, durante una registrazione, ha fatto parte del gruppo di prigionieri che i nazisti avevano deciso di salvare o quando, casualmente, non Le hanno chiesto l’età così è sfuggita alla regola secondo cui tutti i minori di tredici anni sarebbero stati uccisi. Forse ha ragione, ma credo che Lei si sia salvata soprattutto grazie al Suo coraggio e alla Sua forza d’animo, che Lei ha definito “istinto di sopravvivenza”, il bisogno di attaccarsi alla vita, di lottare e di non arrendersi mai davanti alle ingiustizie e al dolore. Non si è fatta travolgere dalle sofferenze spaventose di ogni giorno, ha raccontato che il Suo corpo era staccato dalla Sua mente e che era diventata egoista. È stato difficile tenere questo comportamento, come quando non ha nemmeno salutato la compagna Janine, condannata a morte. Questo rimorso è rimasto nel Suo cuore e fa ancora male. Ha affrontato tutto a testa alta, con dignità e senza vergogna, così come quando non ha voluto nascondersi il numero tatuato sul braccio perché a vergognarsi avrebbe dovuto essere soltanto chI glielo aveva impresso.
Mi ha colpito il legame speciale con Suo papà: lui ha fatto di tutto per proteggerla, ma anche Lei non poteva vederlo soffrire e ha sempre cercato di confortarlo, come quando, durante il viaggio verso Auschwitz, gli ha detto che era felice di essere con lui in quel momento e che non avrebbe voluto essere da un’altra parte. È stato proprio l’amore verso Suo papà che L’ha salvata.
Mi ha impressionato come i nazisti non abbiano avuto pietà neppure per nonno Pippo, anziano e gravemente malato, e la violenza disumana con cui hanno trattato i prigionieri, considerandoli Stücke, cioè pezzi da usare finché utili. Mi ha stupita quando ha avuto la possibilità di vendicarsi prendendo la pistola di un comandante tedesco ma non lo ha fatto: è stato un gesto ammirevole.
Non credevo che, una volta raggiunta di nuovo casa, il ritorno alla vita quotidiana e ordinaria fosse così lento e lungo, ma la sofferenza subita ad Auschwitz è come “un lupo mannaro che ti aggredisce alle spalle e che ruba il cuore e la gioia“.
La ringrazio per la Sua testimonianza della Shoah, perché è un seme della memoria, per non dimenticare e per non vivere nell’indifferenza generale, nel silenzio che, come l’arma più potente, L’ha ferita profondamente nel cuore e nell’anima.
Ora, Liliana, come Le ha insegnato suo papà, non è più una brutta farfallina, ma una brillante lucciola che vola nel cielo d’estate.
Con gratitudine,
Elisa G.