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Ciro per tutta la vita

Fui condannato all’impiccagione per aver ucciso una persona. Giunse il momento in cui potevo decidere cosa mangiare per l’ultima volta.

La scelta era difficile. Potevo chiamare il mio amico Francesco per cucinarmi il suo favoloso cestino con la crema pasticcera e lamponi; ma poi capii che quel piatto era sì buono, ma sarebbe durato troppo poco e quella piacevole estasi sarebbe stata fugace. Potevo chiamare la mamma di una mia cara amica che cucina gli spaghetti alla carbonara in un modo che non avevo mai provato prima di assaggiare i suoi; ma capii che non era la scelta giusta quando pensai all’amore che allontana ogni morte: l’amore che Ciro, un pizzaiolo che avevo conosciuto a Napoli anni orsono, mette nell’impastare la sua proverbiale pizza.

Quando arrivò alla prigione di massima sicurezza in cui ero rinchiuso, Ciro mi disse che ci avrebbe messo tutta la sua passione e tutto il suo amore in quell’ultimo impasto per me visto che io, ormai, per lui e per i suoi compaesani ero un eroe: non avevo ucciso una persona normale solo perché ero pazzo, avevo bensì ucciso un lurido pizzaiolo che aveva cucinato una pizza con l’ananas.

Quando vidi quella bellissima pizza incominciai a piangere, era magnificente, la più maestosa che avessi mai visto, una crosta dorata al punto giusto, il sugo di pomodoro rosso come il sangue, sembrava appena fatto, una mozzarella fresca di una vacca del mio caro zio Guido e per finire basilico fresco. Tagliai la prima fetta, i fili di mozzarella volavano dappertutto, la crosta era croccante al punto giusto da farmi capire che dentro la pasta era morbida. Diedi il primo morso: il gusto del sugo agrodolce si intersecava col gusto della mozzarella dolce, ma anche leggermente acidula, e dell’impasto lasciato riposare per tutto il giorno precedente. Era come se fossi entrato in estasi, un’estasi lunghissima, di amore e di bontà. Pensavo che sarebbe durato per l’eternità, ma anche la cosa più bella del mondo finisce e, infatti, l’ultimo morso fu addolorante: la crosta di quell’ultima fetta che si infrangeva nella mia bocca finché la lingua non avesse trovato il morbido dell’impasto stava scendendo per l’esofago, il canale che avrebbe fatto arrivare questa meraviglia al mio stomaco; anche lui sapeva che sarebbe stato il suo ultimo pasto e infatti ci mise molto a digerire.

Ringraziai Ciro per tutta la vita, come se avessi avuto davanti un tempo infinito, e poi sentii i passi della guardia arrivare; quella aprì la porta e mi disse: “Signor Castelli, andiamo”.

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